Juan Manuel Fagio

Nasce nel 1911 a Balcare, in Argentina, da una famiglia di emigrati italiani provenienti dall'Abruzzo. Lasciata la scuola al termine della sesta elementare, Juan Manuel, invece di andare a lavorare con il padre come muratore, sceglie di farsi assumere come apprendista in una piccola bottega di lavorazioni meccaniche. E qui, da ragazzino sognatore, comincia a coltivare il suo desiderio nascosto, correre in auto.
A diciotto anni fa il suo esordio come co-pilota, e a venticinque invece si siede per la prima volta al posto guida in una gara, ma senza fortuna. Insieme al fratello Ruben ha aperto un’officina, ed elabora una Ford V8 con cui inizia a gareggiare con una certa frequenza. Siamo nel 1938 e Fangio riesce a mettersi in luce, ma la sua vettura è ormai datata e non può fare altro che accontentarsi di modesti piazzamenti. Le gare stanno cominciando a diventare un onere economico troppo elevato e non ripagato in modo appropriato dai risultati. 29enne, Juan Manuel inizia a pensare seriamente di abbandonare questo spericolato mestiere. Ma accade qualcosa che ha del fiabesco: gli abitanti di Balcarce fanno una colletta e gli regalano una Chevrolet. Anche questa nuova macchina ha già qualche primavera sulle spalle, ma è piuttosto potente, e cominciano ad arrivare delle soddisfazioni. Nel 1939 ottiene la prima vittoria, mentre nei due anni successivi si laurea campione argentino.
Terminato il secondo conflitto mondiale, l’Automobile Club del paese sudamericano, con l’appoggio del Governo del generale Peròn, punta su Fangio con grande convinzione. Nel 1948 viene organizzata la Temporada, una corsa che diverrà molto famosa in futuro, e che attira anche macchine e piloti europei, con i quali, alla guida di una Maserati, Juan Manuel può misurarsi senza timori reverenziali, facendosi un’idea delle sue vere potenzialità. Dopodiché sbarca nel Vecchio Continente, dimostrando anche qui di che pasta è fatto: sei primi posti nel 1949, fra cui anche il Gran Premio di Monza, alla guida di una Ferrari 125 acquistata con l’aiuto di un facoltoso connazionale imprenditore che si trova in Italia. Tale serie di ottime prestazioni gli vale l’ingresso nella squadra ufficiale Alfa Romeo, la più forte del momento, per disputare l’edizione numero uno del Campionato Mondiale di Formula 1. Le Alfetta 158 dominano in modo imbarazzante la stagione, con Nino Farina che ottiene il titolo per un soffio, proprio a sfavore del compagno di colori Fangio. L’argentino si rifà però nel 1951, con la 159, dopo un appassionante duello con l’emergente Ferrari di Alberto Ascari, cioè quello che sarà il binomio vincente per il 1952 e 1953, periodo in cui a competere per la corona iridata sono le più piccole monoposto di Formula 2. Juan Manuel sceglie inizialmente di prendersi una pausa sabbatica e torna nel Circus nel 1953 con la Maserati. Ma sono tempi difficili, in cui deve solo accontentarsi di raccogliere le briciole lasciate dallo strapotere del Cavallino.
Nel 1954 si volta pagina. Si torna alle F1, e Fangio trionfa nei primi due appuntamenti, sempre con il marchio del Tridente. Poi passa alla esordiente Mercedes, che con la stupefacente W196 gli permette di stravincere il suo secondo alloro, per ripetersi il campionato venturo. La Casa di Stoccarda, forse anche scossa dalla tragedia di Le Mans, lascia però le corse, dalle quali tornerà dopo moltissimo tempo, e il Campione del Mondo in carica deve di nuovo trasferirsi in un’altra scuderia. Per il 1956 è un pilota Ferrari, che si può permettere l’ormai elevato ingaggio dell’argentino solo dopo aver risparmiato numerosi quattrini per non aver sviluppato una nuova vettura, avendo ricevuto infatti in regalo le D50 della Lancia, che morto Ascari, ha preferito non continuare la sua avventura nella massima formula. E certo si tratta di un bel dono, visto che la D50 è molto veloce, e consente a Fangio di fregiarsi pure questa volta della corona iridata. Ma il rapporto con Maranello è continuamente tormentato, costellato di litigi e sospetti, mai sopiti neppure nei decenni a venire. Juan Manuel deve ancora cambiare casacca, e torna alla Maserati. Il suo fiuto non sbaglia mai, e fa anche nel 1957 la scelta più azzeccata, conquistando il quinto titolo mondiale della carriera, il quarto consecutivo, ottenuto tra l’altro con una epica impresa al Gran Premio del Nurburgring.
Divenuto pentacampione, per Fangio si avvicina il canto del cigno. Appagato dai successi, la sua motivazione per correre ancora comincia a diminuire. Dopo qualche apparizione, Fangio disputa il suo ultimo GP di F1 nel 1958, a Reims, dove si classifica quarto. Dopo quella gara sceglie di ritirarsi, scosso dalla morte in quello stesso giorno dell’ex compagno e amico Luigi Musso, con la Ferrari.Non sparisce però dalla scena delle quattro ruote, divenendo uomo di fiducia della Mercedes-Benz, controllandone la filiale di Buenos Aires, e ottenendo da essa svariate onorificenze.
Si prodiga per la costruzione di un tracciato e di un museo storico dedicato all’automobile nella sua città, e i suoi sforzi vengono premiati. Diviene protagonista di libri, film, persino un tipo di tango. Passano gli anni, passano i piloti, ma gli argentini continuano a venerarlo e considerarlo uno dei più grandi orgogli del loro paese. Combatte tra l’altro con numerosi problemi fisici, tra cui alcuni infarti, che lo costringono a farsi applicare diversi by-pass. Poi arriva il diabete, lunghe dialisi, infine un attacco di polmonite, che gli è fatale nel giro di pochi giorni. Il 17 luglio 1995 i suoi occhi glaciali si chiudono per sempre.
Sembrava imbattibile il suo record. Doveva essere destinato a rimanere immortale, a ricordarlo simbolo di un’epoca che non c’è più e che qualche volta fa piacere riportare alla mente.
La nazione poteva vantarsi di avergli dato i natali, di aver un motivo di felicità anche durante la disastrosa quanto impetuosa crisi economica. Chissà che magari, quel 12 ottobre 2003, quando un certo Micheal Schumacher da Kerpen ha demolito quel primato, se ne sia andato via un pezzo d’Argentina.